Con la sentenza del 10 maggio del 2016 le Sezioni unite intervengono per chiarire la natura della responsabilità e il criterio di riparto del risarcimento in presenza di infiltrazioni provenienti dal terrazzo all’appartamento sottostante.
L’occasione che permette tale intervento è fornita da una ordinanza di rimessione che registra la presenza di due orientamenti contrapposti sul punto.
Il primo, fondato sulla decisione delle S.Un. n. 3672 del 1997, che esclude la applicazione dell’art. 2051 cc e del più generale principio del neminem laedere in favore del riconoscimento di un rapporto condominiale da cui scatta l’applicazione dei criteri fissati negli artt.1123 e 1126 c.c.
Si tratta, in realtà, di un rapporto obbligatorio da cui scaturiscono delle obbligazioni propter rem in capo al proprietario esclusivo e del condominio. Obbligazioni che, se inadempiute, impongono ex art. 1218 l’emersione di una responsabilità risarcitoria nei confronti del danneggiato dalle infiltrazioni seguendo una ripartizione conforme a quanto sancito ex artt. 1123 e 1126 c.c.
Questa visione, inoltre, permette anche il concorso con una responsabilità ex art. 2051 c.c. laddove si registri anche la lesione di un diritto soggettivo come il diritto alla salute.
Di diverso avviso l’altro orientamento teso a riconoscere una responsabilità ex art. 2051 c.c. da parte del condominio (la sentenza richiama dei precedenti che riconoscono responsabilità sempre ex 2051 ma talvolta per il solo condominio o per il solo proprietario) per difetto di manutenzione delle parti in comune da cui discende l’applicazione di tutta la disciplina ex artt.2043 e ss.
In questo solco si colloca anche la ordinanza di remissione che legge il fenomeno come basato sulla responsabilità ex art. 2051 c.c. e sulla interpretazione indebita degli artt. 1123 e 1126 che da fonti di riparto delle spese interne sono mutate in fonti di obbligazioni propter rem.
Sulla base di ciò la ordinanza muove una serie di critiche nei confronti della decisione delle S. Un. 1997: 1. l’esclusione, in via di principio, che la responsabilità per danni prodotti nell’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare per difetto di manutenzione si ricolleghi al disposto dell’art. 2051 cod. civ.; 2. l’affermazione che “dall’art. 1123 e dall’art. 1126 cod. civ. discendono obbligazioni poste dalla legge a carico ed a favore dei condomini dell’edificio, da qualificare come obbligazioni propter rem di cui i partecipanti al condominio sono ad un tempo soggetti attivi e soggetti passivi“; 3. la deduzione da tali premesse che “le obbligazioni reali di conservazione riguarderebbero tutti i rapporti reali inerenti, con la conseguenza che la susseguente responsabilità per inadempimento concerne i danni arrecati ai beni costituenti il fabbricato“; 4. l’assimilazione delle “condizioni materiali di dissesto e di degrado del lastrico” come species dell’unico concetto tecnico “di difetto di manutenzione” e quale coincidente conseguenza “dell’inadempimento delle obbligazioni propter rem”; 5. la conclusione per cui la responsabilità e il risarcimento dei danni sono regolati secondo gli stessi criteri di imputazione e di ripartizione, cioè quelli prescritti dall’art. 1126 cod. civ.
Da ciò discende, per la Corte remittente, una lettura errata del fenomeno dannoso e una applicazione delle norme condominiali incongrua.
Infatti, ricorre per la Corte, dalla lettura delle Sezioni Unite un modello che non tiene conto che si agisce in presenza di un danno arrecato ad un terzo.
Non è considerata, pertanto, la differente situazione che si crea e che si riferisce alla posizione del terzo danneggiato dalla condotta del presunto danneggiante sia esso proprietario o condominio.
A ben guardare l’estensione realizzata della decisione scrutinata non tiene conto del fatto che le norma del codice non sono nate per disciplinare la allocazione del danno subito dal terzo come invece è accaduto per le norme relative alla responsabilità aquiliana o contrattuale.
Adottando tale criterio la stessa corte rimettente ritiene che il danno derivante dalla cattiva manutenzione è addebitabile solo a lo abbia cagionato aprendo ad una limitazione della responsabilità coerente con il dettato dell’art. 2051 e alla configurazione di una responsabilità da verificare caso per caso.
Seguendo invece le S.Un si registra, inoltre, una responsabilità che si radica in capo al condominio in caso di difetto di opera (anche originaria del manufatto) e in capo al proprietario in caso di mancato intervento di manutenzione ordinaria. Situazione di difficile comprensione alla luce di una disciplina tesa a fornire una determinazione unitaria.
Proprio per queste ragioni la ordinanza ritiene necessario aderire all’orientamento che legge il fatto, che cagiona il danno, come illecito da sussumere all’interno di una responsabilità aquiliana, da scrutinare verificando le colpe del condomino e se sussistenti del condominio senza ricorrere ad una normativa sorta per altro scopo.
Dinnanzi a tale questione le Sezioni Unite del 2016 aderiscono ad una lettura della responsabilità del proprietario esclusivo del lastrico ex art. 2051 per difetto di manutenzione e del condominio per mancata osservanza dei suoi doveri ex artt. 1130 co 1 n.4 e 1135 co.1 n4 in relazione alla attività di ristrutturazione e di riparazione.
Le stesse Sezioni Unite registrano che “I profili maggiormente critici della soluzione data dalla decisione del 1997 alla questione in esame sono sostanzialmente ravvisabili in ciò che risulta attratta ad una disciplina di tipo obbligatorio una situazione in cui viene in rilievo la produzione di un danno ad un terzo, per effetto della violazione di un obbligo di custodia e comunque del dovere di manutenzione della cosa comune”.
Manutenzione che si radica in capo al proprietario che è posto in rapporto diretto con la cosa e da cui sorge una posizione giuridica di custodia rispetto al bene. Il proprietario infatti ha il “potere di governo sulla cosa” e da ciò discendono una serie di doveri che, inadempiuti, producono un danno che si inscrive nell’alveo di una responsabilità oggettiva ex art. 2051.
Conseguenza diretta di tale ermeneusi è la esclusione del rapporto obbligatorio promosso dalla decisone del 1997 che invece ricostruiva la fattispecie come basata su di un pregresso rapporto di debito del proprietario verso il titolare del diritto di proprietà sull’appartamento sottostante.
Chiarita la natura della responsabilità (aquiliana del proprietario e secondo le regole ex artt. 1130 e 1135 del condominio) , la Suprema Corte sancisce che le due species descritte possono concorrere fra loro.
Tale risultato, per la Corte, è frutto della natura del lastrico solare. Si tratta di un bene che può essere anche del solo superficiario, ma è sempre servente al condominio.
Pertanto la corte sancisce che “La naturale interconnessione esistente tra la superficie del lastrico e della terrazza a livello, sulla quale si esercita la custodia del titolare del diritto di uso in via esclusiva, e la struttura immediatamente sottostante, che costituisce cosa comune – sulla quale la custodia non può esercitarsi nelle medesime forme ipotizzabili per la copertura esterna e in relazione alla quale è invece operante il dovere di controllo in capo all’amministratore del condominio ai sensi del richiamato art. 1130, primo comma n. 4, cod. civ. – induce tuttavia ad individuare una regola di ripartizione della responsabilità mutuata dall’art. 1126 cod. civ”.
Questa norma è letta dalle Sezioni Unite come un “ parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all’uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune che, nella sua parte superficiale, sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà esclusiva, è comunque destinata a svolgere una funzione anche nell’interesse dell’intero edificio o della parte di questo ad essa sottostante”.
Purtuttavia questa applicazione del criterio ex art. 1126 non deve spingere verso una lettura conforme alle precedenti Sezioni Unite, ma deve essere interpretato come mero modello di riparto in quanto il tutto resta regolato dalla natura aquiliana della responsabilità investigata.
Conseguenza di ciò è che si conferma che la disciplina applicabile è quella dell’art.2051, del suo criterio di imputazione, del suo termine di prescrizione, della possibile applicazione dell’art. 2055 c.c. così come dei suoi limiti alla esclusione della responsabilità prevista.
Alla luce di ciò la Suprema Corte formula il seguente principio di diritto, in tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.
Molto interessante.