Con la sentenza 1 marzo 2016 n. 4016 la Corte di Cassazione torna ad affermare l’orientamento giurisprudenziale ormai “granitico” riguardante il cd. abuso del processo, cioè riguardante l’esercizio abusivo e distorto di un proprio diritto all’interno di un giudizio.
In particolare nel caso di specie i principi suddetti vengono applicati ad un rapporto di lavoro, rimanendo intatta l’idea del Supremo Consesso circa l’impossibilità di un frazionamento in diversi giudizi di una pretesa creditoria unitaria.
Ebbene la Corte di Cassazione richiama la propria impostazione espressa con la pronuncia n. 23726/2007 resa a Sezioni Unite, ritenendo che anche nella fattispecie odierna posta alla sua attenzione, i crediti frazionati con due distinti procedimenti, derivassero dal medesimo rapporto di lavoro, come tale fonte unitaria di obblighi e di doveri per le parti.
Per comprendere meglio l’affermazione della Corte è consigliabile un’analisi del caso concreto sottoposto alla sua attenzione.
Un lavoratore – P.N. – era ricorso al giudice del lavoro presso il Tribunale di Torino per sentir condannare la società presso la quale aveva lavorato in qualità di autista, al pagamento di una data somma a titolo di mancata erogazione delle quote del premio di risultato relative agli ultimi mesi di lavoro. Tuttavia il giudice adito dichiarò improcedibile la domanda in quanto il ricorrente aveva promosso la controversia dopo la proposizione di un’altra causa in cui aveva chiesto la rideterminazione del T.F.R. alla medesima azienda e per lo stesso rapporto di lavoro, per cui aveva finito per frazionare il credito derivante da un unico rapporto di lavoro.
La Corte d’Appello, invece, ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore spiegando di non condividere il ragionamento seguito dal primo giudice: non poteva applicarsi il principio di impossibile frazionamento del credito a richieste giudiziali tra loro diverse quanto ai titoli fatti valere, ai regimi applicabili ed ai presupposti giuridici e di fatto sui quali si basavano.
A questo punto la società convenuta in giudizio decide di ricorrere in Cassazione, affidando il proprio ricorso ad un unico motivo che denunzia la violazione e falsa applicazione degli art. 2909 c.c. e 111 Cost. dato che la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che entrambe le pretese fatte valere in giudizio dall’attore discendono dal medesimo rapporto di lavoro cessato anteriormente all’attivazione delle due controversie, per cui l’odierno intimato si era trovato sin dall’inizio nelle condizioni di esigere in via unitaria entrambe le pretese di credito.
La suddetta condotta del lavoratore integrerebbe un utilizzo abusivo del processo, mediante il frazionamento giudiziale del suo credito unitario, il tutto in spregio ai canoni generali della correttezza e della buona fede.
Per la Corte di Cassazione il ricorso presentato dalla società in questione è fondato e pertanto va accolto, poiché si prospetta palesemente un aggravio della posizione della suddetta società, la quale è stata convenuta in due procedimenti e costretta, quindi, a valutare la fondatezza di due pretese che, in realtà, facevano capo ad un unico rapporto di lavoro, ormai concluso.
A questo punto si richiama il principio di diritto dettato dalla sentenza a Sezioni Unite n.23726/2007 e confermato dalla giurisprudenza successiva secondo il quale è inammissibile (perché corrispondente ad una condotta abusiva, cioè contraria a buona fede) il frazionamento in giudizio di una pretesa creditoria unitaria.
Anche nel caso de quo siamo di fronte – secondo la Cassazione – ad un indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, nello specifico di un rapporto di lavoro subordinato, come tale produttivo sia di crediti di natura contrattuale che di natura legale, collegabili unitariamente alla decisione originaria delle parti di stipulare un contratto di natura subordinata ex art. 2094 c.c.
Addirittura il collegamento di cui si discorre appare ancor più stretto nel caso in esame, posto che le due controversie sono state promosse a rapporto concluso, quando cioè il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto era ormai noto e consolidato.
Il principio di diritto secondo il quale non è possibile frazionare in più giudizi una pretesa creditoria unitaria risponde sostanzialmente ad una duplice ratio:
– da un lato si impone il rispetto del principio del giusto processo costituzionalmente e convenzionalmente tutelato rispettivamente agli artt. 111 Cost. e 6 CEDU;
– dall’altro vi è l’interesse pubblico alla razionalizzazione del sistema giudiziario, impedendo il formarsi di un contenzioso frammentato e disperso, ma riconducibile al medesimo rapporto obbligatorio, con il pericolo del formarsi di giudicati contrastanti.
Pertanto, i principi affermati in passato da questa Corte possono perfettamente applicarsi alla fattispecie in esame.
Nè può valere al riguardo alcuna contraria eccezione, nemmeno quella di una presunta violazione dell’art. 24 Cost., atteso che al momento della promozione del secondo ricorso il ricorrente aveva già esercitato alcuni diritti creditori concernenti l’ammontare del TFR ed era perfettamente in grado, in quella sede, di richiedere anche il premio di produzione relativo ad alcuni mesi del rapporto lavorativo ormai cessato, senza costringere il datore di lavoro a vagliare un secondo procedimento con l’inevitabile ed ulteriore incidenza di ulteriori costi processuali.
Infine – precisa la Corte – nemmeno può trascurarsi che alla radice dell’orientamento ricordato vi è una ricostruzione “costituzionalmente” orientata (ispirata anche a principi di diritto europeo in senso lato) del sistema processuale nel suo insieme, sì da impedire effetti paradossali indebitamente vessatori e distruttivi, se diffusi, dell’efficienza del “sistema giustizia“.
Da tutto quanto detto, pertanto, appare chiaro che questa sentenza conferma il trend giurisprudenziale relativo all’esaltazione della clausola di buona fede, elevata a criterio generale del sistema tanto dal punto di vista sostanziale (nella costituzione, esecuzione ed estinzione del rapporto obbligatorio) quanto dal punto di vista processuale.